La città di Napoli è da qualche tempo percorsa da numerosi movimenti di massa che, almeno dai tempi del movimento contro il degrado ambientale, hanno iniziato con un certo successo un percorso di lavoro politico e sociale all’interno delle masse popolari della città, spesso all’insegna di pratiche di democrazia diretta municipalistica. Un percorso con le sue luci e le sue ombre che la compagna Monica Jornet della Fédération Anarchiste – presente per metà della settimana a Napoli e partecipante ad una delle realtà napoletane in questione – ha provato a mettere in evidenza discutendone con Leandro Squeglia (attivista di Scacco Matto e della Piattaforma per la Democrazia Diretta Massa Critica, nonché dello Scugnizzo Liberato).
Perché si è chiamato questo spazio Scugnizzo Liberato ?
Questo è un edificio di 16 000 m2, nel Seicento abitazione privata della nobile Eleonora Scarpatti che vi accolse un ordine monacale. Poi Gioacchino Murat lo convertì da Convento delle Cappuccinelle, ormai dello Stato, in carcere. La cosiddetta legge Eduardo[1] sulla città di Napoli innescò un meccanismo per il quale, nel 1988, il Carcere minorile Filangieri fu riconvertito in un centro polifunzionale di attività preventive. Nel 2000 venne chiuso e così è rimasto fino al 29 settembre 2015 quando, durante la ricorrenza delle quattro giornate di Napoli, noi siamo entrati. Napoli è stata una delle prime città d’Italia che si è liberata a partire dell’azione della propria popolazione, una liberazione che ha avuto la firma degli scugnizzi, in parte ragazzini che evasero proprio da questo carcere. Questo per ricostruire i motivi che ci hanno portato a chiamare così questo posto: è stato prima un convento, poi un carcere, quindi un posto di reclusione e poi un luogo lasciato all’abbandono ed all’incuria. Abbiamo compiuto[2] questa azione diretta perché non credevamo di dover chiedere il permesso a nessuno, tantomeno alle istituzioni: allora, insieme a tanta gente del quartiere, abbiamo liberato questo spazio.
L’attività attuale è rivolta soprattutto ai scugnizzi del quartiere ?
Certo ma non esclusivamente. Napoli ha tutto un insieme di quartieri popolari al centro della città, non solo nelle periferie; poi lo scugnizzo non è semplicemente un giovane che vive per strada: lo scugnizzo storicamente è ribelle, non accetta i crismi della società, non accetta ordini. Chiunque abbia questa pulsione indipendente, si senta emarginato, faccia parte delle fasce subalterne e reagisca ribellandosi, disubbidendo, rivendicando la propria autonomia, la propria libertà, i propri diritti, è di fatto uno scugnizzo o una scugnizza – a prescindere dall’età.
Ci sono state delle tappe dalla prima occupazione «abusiva» fino all’attuale relativa “legalizazzione”?[3]
Beh, a noi piace parlare di liberazione. Il bene era ancora ancora in possesso del Demanio dello Stato, con la responsabilità del ministero della Giustizia, però era inserito in una lista di beni che devono essere passati agli enti locali a titolo gratuito. Ora un bene importante come questo è sempre meglio sia in mano ad un’istituzione locale: è più facile esercitare pressioni, anzi conflitto, lotta. La nostra azione diretta da un lato rimetteva subito in funzione questo spazio, dall’altra parte accelerava il passaggio all’ente locale, passaggio ora compiuto. Ma la nostra prospettiva è che le istituzioni vanno cambiate, abolite, a favore di istituzioni che nascono dal basso e lì devono restare radicate. Non ci siamo accontentati di fare un’associazione e farci assegnare questo posto: non siamo ideologici né sul farla né sul non farla, ma è chiaro cha la nostra entità politica, sia come rete Scacco Matto sia come comunità dello Scugnizzo, non si può chiudere in una forma giuridico-burocratica. Abbiamo chiesto che la regolarizazzione della nostra presenza in questo posto non fosse una riconduzione alla legalità ma la creazione di qualcosa di nuovo, quindi insieme ad altri spazi della città abbiamo aperto un tavolo di confronto con l’istituzione locale. Quella amministrazione è finita a Giugno, poi le nuove elezioni l’hanno riconfermata, quindi abbiamo altri cinque anni di confronto su questo tema. Sette beni occupati, «liberati», della città avevano rivendicato che questi spazi urbani, venissero inseriti in uno stato giuridico nuovo, cioè “un” bene comune, non “il” fantomatico bene comune universale, ma un bene rivendicato come comune dalla popolazione con la sua abitazione diretta e tramite l’autogestione. Si parla di uso civico urbano, per superare il concetto di proprietà, il valore di scambio del valore immobiliare e parlare invece di quanto puo’ essere utile alla popolazione.
Ritieni che si sia risolto questo affidamento al collettivo dello Scugnizzo?
Il tavolo dei beni comuni di Massa critica aveva proposto all’Assessorato dei Beni Comuni delle politiche urbane del Comune di Napoli una delibera quadro scritta dal basso per prendere atto dell’uso diretto e dell’autogoverno di sette spazi occupati di Napoli. Il Consiglio di Giunta ha approvato questa delibera il primo giugno. Tuttavia dobbiamo ancora capire se e come la delibera proposta dal basso sia stata modificata dall’amministrazione. Se ci fossero modifiche che non convincono gli attivisti di questi spazi liberati, rilanceremo la mobilitazione finché non ci sarà la delibera che ci piace. Poi ciascuno di questi spazi liberati, in un secondo momento, produrrà nella propria assemblea dei propri regolamenti. Il Consiglio comunale dovrà esprimersi su riconoscere o no ogni regolamento come ufficiale.
C’era concorrenza per questo affidamento al collettivo dello Scugnizzo ?
Le lobby del associazionismo e dei musei avevano messi gli occhi sopra a quel bene, il che avrebbe necessariamente comportato una privatizzazione dello spazio.
Anche per il sindaco Luigi de Magistris è un progetto pilota?
Lui dice che in queste sperimentazioni che nascono dal basso legge delle modalità con cui governare la città. Noi, invece, che animiamo questi spazi liberati e facciamo anche molte altre cose in città, ci siamo coordinati nella piattaforma Massa Critica che trova la sua ragion d’essere nella pratica comune di sperimentazione di forme di autogestione degli spazi. Rivendichiamo un autogoverno più ampio e delle assemblee popolari che, sul modello delle assemblee di gestione degli spazi, parlino di tutte le questioni che riguardino i singoli quartieri. Quindi, certo, sono progetti pilota per noi che li sperimentiamo dal basso e rivendichiamo ancora di più. E, a suo dire, anche per il sindaco: vedremo nel futuro la sua coerenza in merito.
Per De Magistris, ci potrebbe essere un interesse politico, nel senso di mostrare che solo lui nella sinistra è in grado di mettere concretamente processi di democrazia partecipata?
Onestamente non penso, non credo che possa guadagnarci qualcosa in questi termini.
E nel senso economico, per risparmiare fondi pubblici sempre più striminziti? Obbiettivamente, potrebbe anche essere la mossa furba di un’amministrazione locale per sgravarsi i problemi gestionali di beni non valorizzati in termini sociali ed approffitare dei processi di azione diretta popolare. Vedremo in questi anni se De Magistris darà seguito agli impegni. Comunque è un dato oggettivo che gli enti locali in Italia non hanno fondi perché c’è il patto di stabilità europeo, perché le casse languono, perché ci sono stati anni e anni di malaffare e cattiva politica, ecc.: ma se si va oltre la furbizia e invece si sperimenta una prospettiva di nuova gestione delle risorse, anche con l’azione diretta della popolazione, il discorso è più interessante. Di sicuro non vogliamo essere lo strumento della furbizia di un singolo politico: pertanto siamo sul piano della sfida.
Tutto questo lo vedi davvero come autogestione o come una cogestione con la pubblica amministrazione ?
No, io parlo di una gestione comune tra gli abitanti, non di una cogestione con la pubblica amministrazione. Magari ci sono determinati beni immobiliari delle città dove ci può stare anche una cogestione fra assemblee di abitanti ed istituzioni pubbliche; ma in spazi come questo l’istituzione deve limitarsi a riconoscere la volontà popolare e basta, riconoscere pienamente l’autogestione totale dei gruppi di abitanti che si sono attivati per recuperare questo bene.
Comunque siamo un’isola in un contesto molto più vasto. È possibile creare uno spazio liberato dalle logiche capitalistiche?
Anche questa è una sfida, ma non è una sfida dei governanti ma di chi è governato e vuole diventare invece autonomo e autodeterminato. Viviamo dentro il capitalismo, certo, e questo vale per tutti. Gli spazi liberati napoletani generalmente però si differenziano molto spesso da esperienze simili europee perché non vogliono essere isole, vogliono essere qualcosa di ben inserito nel cuore della società. Noi non siamo degli anticonformisti per principio come spesso sono stati i vari spazi occupati italiani ed europei: vogliamo invece essere qualcosa che nasce nel ventre della popolazione, siamo pezzi di popolazione che si autoorganizzano e fondano un modello affinché esso contagi il resto del tessuto civile, per riprenderci pian piano tutto. D’altra parte però siamo, proprio perché interni al mondo reale, sempre di fronte alle contraddizioni del capitalismo. La sfida è di superarle in termini anticapitalisti, ma è uno sforzo continuo, nessuno di noi può pensare di essere davvero libero dal biopotere; d’altra parte, però, non puoi rassegnarti ed occorre praticare sempre più relazioni sociali il più possibile anticapitalistiche.
Per lo meno per quanto riguarda la gestione dello Scugnizzo, non ci sono salariati?
No, assolutamente. Non ci sono salariati. Tuttavia questi spazi servono anche per creare un lavoro indipendente, per esempio le botteghe. Chi lavora, cioè produce dei beni, li vende, li può mettere sul mercato tradizionale oppure si possono sperimentare nuove forme di mercato, di scambio fuori dalle regole capitaliste. Per noi è importante il rifiuto del lavoro sfruttato. I mezzi di produzione devono essere socializzati: in piccolo possiamo sperimentare questo principio qua dentro, è tutto lavoro militante. Non mi piace nemmeno dire volontario perché è una parola che non ci appartiene, è militanza.
In queste assemblee dove si prendono le decisioni, c’è il principio del voto, del comune accordo, come funziona?
Nelle nostre assemblee non si vota, si basa la relazione politica sul dialogo dei singoli e delle singole, crediamo molto nella singolarità, che devono mettersi a disposizione della collettività senza però mai annullarsi. Ci si basa molto pure sul senso di responsabilità, di essere capaci di dialettizzare al massimo anche per ore, anche per più giorni. L’obiettivo finale, dato che tutto ciò è anche una palestra di democrazia diretta, è di arrivare a una decisione senza ricorrere al voto, perché questo non ci appartiene, perché un’alzata di mano non può risolvere il dibattito. Allo stesso tempo, però, il dibattito non può durare all’infinito senza poi decidere operativamente. In ogni caso sto parlando in astratto, non c’è mai stato un problema simile.
Si può dire che si passa dalla solidarietà alla resistenza al sistema capitalista ed infine alla costruzione di un’altra società ?
Come attivista di una rete militante che è Scacco Matto e come attivista pure dello Scugnizzo, vedo tutti questi momenti contemporaneamente, perché altrimenti poi si creano comunità minoritarie di persone ideologizzate e non si costituisce, invece, un motore di continua organizzazione della base sociale. Quindi, mentre resisto, costruisco pure un nuovo mondo. Solidarietà sì. Ancora più che solidarietà, il mutuo soccorso, nostro principio, è costruzione di comune, cioè di spazio di comune, che è qualcosa di più ancora della comunità, è una condivisione di linguaggi, saperi, strumenti prattici, materiali e quindi di una prospettiva politica rivoluzionaria.
Qual è la specificità dello Scugnizzo rispetto agli altri spazi dal punto di vista politico?
In generale tutti noi non ci siamo chiamati squat, non ci siamo chiamati centro sociale: questa è un’altra generazione di occupazioni. Forse la nostra specificità è che abbiamo concepito questo luogo come «laboratorio», cosa che ti fa pensare sia al luogo fisico sia alla progettualità, all’attività, ed abbiamo messo l’accento sulla concezione del mutuo soccorso; credo che ciò sia veramente il valore aggiunto che questa occupazione ha portato al panorama dell’autogestione in città.
Si parla molto di costruire dal basso a Napoli, ma vedo, anche in questi spazi autogestiti, che liberato non sempre vuol dire libertario.
Anche dentro le esperienze di autogestione, spesso essendo intrecci di tanti difetti del mondo che critichiamo, possono crearsi dinamiche che sono l’opposto di libertario, anche in piccoli rapporti di microfisica di poteri, nelle minime dinamiche relazionali. È innegabile. Come rete Scacco Matto abbiamo posto l’accento, dicevo prima, sul mutuo soccorso ma, nel corso di questo piccolo anno d’esistenza, anche sul concetto di antiautoritarismo. Pensiamo che non debba essere l’antiautoritarismo bagaglio soltanto di alcune parti politiche del movimento, cioè solo degli anarchici per esempio: riteniamo che il buono della cultura libertaria debba essere diffuso anche oltre gli spazi anarchici, dei contesti anarchici. Quindi l’antiautoritarimo per me è importante perché ha una ricaduta immediata anche sulla giustizia sociale, perché autoritarismo non soltanto è la repressione, il controllo, autoritarismo è anche l’esclusione dalla decisione.
Sì, certamente.
Quindi se noi rivendichiamo più decisioni rispetto a quelle che sono ormai le fallimentari istituzioni pubbliche, non possiamo che sperimentare meccanismi decisionali nuovi, quindi profondamente antiautoritari, anche dentro la gestione dei nostri spazi.
Lo Scugnizzo mi sembra comunque tra i più libertari tra gli spazi napoletani. Tuttavia, ci sono anche qua marxisti…
Lo Scugnizzo, è un’esperienza così radicata nel territorio che ha difficoltà a mettersi etichette precise. È chiaramente uno spazio antirazzista, contro la xenofobia, contro l’omofobia, per un’alternativa di relazione fra diversità, per valorizzare le differenze. Per quanto riguarda la rete Scacco Matto, che è attiva qui e altrove, è chiaro che noi abbiamo un’impostazione molto aperta, che parte da una matrice marxista eretica. In particolare ci interessa molto la sfumatura marxista libertaria degli zapatisti o le sperimentazioni di confederalismo democratico nate dalla convergenza tra l’esperienza più marxista delle organizazzioni curde e la visione più libertaria e anarcocomunista di Bookchin. Il nostro collettivo rete Scacco Matto ha un percorso che è questo qui, si riconosce tanto in quello che ha prodotto l’autonomia operaia negli anni settanta e della postautonomia negli anni successivi e sicuramente non si riconosce nelle prospettive di autoritarismo m-l. Il tema libertario per noi è importante, perché stiamo forgiando una cultura politica sperimentata anche praticamente dagli zapatisti o dal confederalismo democratico. Marxisti sicuramente sull’ottica economica, pensiamo che il discorso di Marx vada attualizzato e non accettato dogmaticamente.
Ma tra un’impostazione libertaria ed una visione leninista, restano in ogni caso enormi differenze…
Sicuramente Scacco Matto viene da esperienze di autoorganizazzione sociale con analisi marxiste, però si sperimenta nella costruzione sociale, mai nella costruzione di un partito, dove l’autoorganizzazione è un principio fondamentale.
Un po’ brutalmente: volete fare un partito o non lo volete fare ?
Come prospettiva politica, non ci interessa. Anche se è vero che pensiamo che ogni epoca ha la sua esigenza, pensiamo che la forma partito abbia esaurito ogni tempo. Ciò non toglie che insieme ad altre esperienze della città ci possiamo dotare degli strumenti definibili come un soggetto politico, strumenti ulteriori con cui prendere in mano il governo della propria città per esempio; questo però sempre valorizzando le spinte che vengono dall’autoorganizazione sociale, non creando mai la divisione fra politico e sociale, anzi il sociale deve sempre essere autonomo, il politico invece deve essere vincolato al sociale, deve esserne l’espressione, se ci diamo lo strumento prettamente politico, come magari può essere visto Massa Critica. Massa Critica è uno strumento strettamente vincolato alle singole nostre esperienze di autoorganizazzione sociale. E tutti insieme, ci stiamo dando questo strumento che parla di governo della città che è Massa Critica per il fatto stesso che non nasca dall’alto, nasca da noi che siamo abitanti, siamo comunisti, siamo marxisti, siamo libertari, siamo tutto quello che possiamo essere ma siamo soprattutto soggettività sociale, precari, abitanti, persone in emergenza abitativa, studenti che rivendicano formazione…
Non ci sarebbe dopo uno scopo di rappresentanza politica dei movimenti?
Pensiamo che tendenzialmente il tempo della rappresentanza sia finito. Ciò non toglie però che, se nascessero esperienze tipo quella che è successa a Barcellona con Ada Colau, – che ha sicuramente dei limiti al suo interno però è comunque un’esperienza interessante che nasce per abbattere il sistema della rappresentanza e dell’istituzione pubblica a favore di nuove istituzioni che vedono la democrazia diretta come prospettiva – non avremmo ideologicamente il rifiuto della rappresentanza. Per giungere a risultati positivi, si possono utilizzare anche strumenti come quello della rappresentanza, basta che lo fai con una maniera legata al lavoro di autoorganizzazione sociale e in maniera innovativa di produzione di nuove istituzioni. Ogni fase ha le sue esigenze.
Quali attività si svolgono allo Scugnizzo ?
Abbiamo diviso l’attività per ambiti tematici. Due tavoli di lavoro operativi rendono esecutivi le scelte prese in assemblea: Mutualismo – che riunisce tutte le attività di mutuo soccorso (corsi di lingua, doposcuola, palestra, mensa, sportelli, teatro etc etc) – e Lavoro indipendente – dedicato agli spazi di lavoro condivisi (dal coworking per i freelance ai laboratori artigianali ed artistici).
Tutto questo è gratuito? Come si finanzia? Ci sono donazioni? Se una ditta vi facesse una donazione, direste di no ?
Una buona parte è gratuita perché è gratuita la prestazione di chi ha delle competenze, però poi tutto il mecanismo economico di questa struttura si basa sull’autofinanziamento fatto tramite iniziative culturali, politiche, concerti… La gente ci aiuta dandoci dei soldi o comprandoci dei materiali. Non accettiamo donazioni da chi lo fa per pulirsi la coscienza. Non accettiamo donazioni dal grande capitale perché questo lo combattiamo solamente.
a cura di Monica Jornet
Napoli, 4 luglio 2016
NOTE
[1] Da Eduardo De Filippo, commediografo napoletano e senatore a vita. La legge in questione è la legge regionale n. 41 del 1987.
[2] Leandro si riferisce alla rete Scacco Matto (collettivi di elaborazione politica: Nablus sul tema dei migranti, Nadir sulle produzioni culturali, Sisma per gli studenti).
[3] Il I giugno 2016, quattro giorni prima delle elezioni comunali, è stata approvata dalla giunta del Comune di Napoli la delibera 446: dopo l’Asilo Filangieri (dicembre 2015), sono stati riconosciuti “bene comune” gli immobili di sette spazi – ex Opg Occupato, Lido Pola, Villa Medusa, ex scuola Schipa, Santa Fede Liberata, Giardino Liberato di Materdei e Lo Scugnizzo Liberato – fruibili solo tramite “uso civico” diretto.